I rifugi del Corno Bianco

(Cliccare sulle foto per vederle ingrandite)

Nel 1992 fu inaugurato sulle pendici del Corno Bianco, l’ultimo rifugio eretto dalla nostra Sezione: il rifugio Abate Carestia. Situato all’Alpe Pile a 2201 m. in una magnifica posizione panoramica sulla Val Vogna è nato per sostituire il primo Punto d’Appoggio creato nel lontano 1974 dalla nostra Sezione e collocato all’alpe Rissuolo,  ma reso ormai inadeguato a causa dell’aumento dei frequentatori.

 


 Il nuovo rifugio Carestia

 Ma già tanto tempo fa, altri progetti di costruzione di rifugi interessarono la zona,  per renderne più agevole l’accesso ed abbreviare così la lunga salita all’impegnativa cima del Corno Bianco ed alle altre non meno faticose vette circostanti. Da molto se ne sono perse le tracce ma cercherò di ricostruire la loro storia.

La mia curiosità iniziò osservando il risguardo di un libro sulla Val Vogna edito pochi anni fa e che riportava la fotografia di un vecchio pannello segnaletico sul quale, tra le altre indicazioni, era scritto: “Rifugio Abate Carestia m. 3150 ore 6”. Spontanea mi nacque una domanda: dato che l’attuale rifugio Carestia sorge a 2201 metri non può essere quello, dunque molto tempo fa doveva essercene un’ altro, ma dove? Per via della quota riportata, il Carestia doveva per forza trovarsi nella zona Corno Bianco - Punta Ciampono – Punta di Netschio uniche vette  della Val Vogna a superare i 3100 metri, ma nel corso delle numerose  precedenti salite a queste punte mai mi pareva di avere incontrato i resti di quello che poteva sembrare un edificio. L’unico posto adatto ad accogliere una struttura era quel piccolissimo spazio  quasi pianeggiante  delimitato da una serie di sassi disposti a forma di rettangolo che si trova  proprio sulla punta del Corno Bianco e che mi aveva ospitato durante un mio voluto bivacco circa 15 anni fa. Ma c’era una discordanza:  era in punta quindi a 3320 metri e non a 3150.

 

 

 

Il cartello ancora visibile sul muro di cinta della chiesa di Riva Valdobbia

Interessai un componente di un’altra Commissione del CAI che incuriosito, fece fare una ricerca nell’archivio del comune di Riva Valdobbia, ma i risultati  furono deludenti: per via delle informazioni a disposizione che erano praticamente inesistenti, nulla risultava di un rifugio in valle Vogna  a quella quota.  Però c’era il cartello,  e quindi da qualche parte doveva esserci stato anche il ricovero. Escluso il sopraddetto archivio mi rimanevano, tra le altre, due possibilità di ricerca: la biblioteca e  l’archivio sezionali. Presso la biblioteca ho consultato alcune pubblicazioni: non trovando nulla né sulla Rivista del CAI né sul Bollettino ho diretto le mie ricerche verso altri testi. Uguale risultato mi ha riservato la consultazione de “Il Corno Bianco” di Amadeo Luigi Morera pubblicato nel 1947 e di “La valle Vogna e Ca’ di Janzo” scritto da G. Toesca di Castellazzo, F. Gerbaldi e N. Vigna. Però a pag. 56 del testo “Valsesia e Valle Vogna” scritto nel 1907 da Emilio Pagliani è riportato che nel 1877 poco sotto la punta del Corno Bianco fu costruito un rifugio che però già all’inizio del 1900 era diroccato. Don Luigi Ravelli, nella sua celeberrima opera “ La Valsesia e il Monte Rosa” a pag. 270 descrivendo la salita al Corno Bianco per il passo d’Artemisia cita “…Al di là del passo si sale per un largo canalone semierboso seguendo i triangoli rossi accoppiati e  le poche tracce di sentiero: si passa quindi a sinistra in un piccolo canale collaterale che sbuca sulla cresta sud-est e  si guadagna la vetta passando per la vecchia capanna…”.

Il Tonetti nella sua altrettanto famosa “Guida della Valsesia” ci fornisce un altro breve cenno:  a pag. 425, troviamo queste poche righe: “…..e poi tenendo dietro alle guide di pietra che segnano la via da tenersi, risalire di greppo in greppo, e dopo un’altra ora di salita si toccherà l’agognata cima. Presso la sommità nel 1877 si eresse un piccolo ricovero, ora inservibile.  Questa guida è stata edita nel 1891 e quindi accorcia ulteriormente il periodo di utilizzo di questa struttura.

  Il piccolo spiazzo sulla cima del Corno Bianco

 Cercando sul “Monte Rosa” della collana “Guida dei monti d’Italia” scritto  nel 1960 da S. Saglio e F. Boffa,  a pag. 408 troviamo scritto: “…Seguendo questa facile cresta si sorpassa il sito in cui era stata costruita una capanna e si raggiunge la vetta…”. Nell’edizione seguente scritta nel 1991 dal compianto Gino Buscaini, troviamo l’accenno alla capanna tra le note generali sul Corno Bianco e riporta anche qui che era “già diruta nel 1900”. Certo è che almeno qualcuno ci ha pernottato per qualche tempo. Accadde tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1881. Infatti su “ 1857-1907 - Album degli ascensori del Corno Bianco alto metri 3317” presente in copia dattiloscritta presso la Biblioteca “Italo Grassi” ed in copia originale presso l’archivio sezionale, in data 2 agosto 1881 troviamo scritto  “ Soldato Candeloro Rocco 1° Reggimento Genio 2° Compagnia Zappatori: dormito alla Capanna Corno Bianco giorni otto patito molto freddo per lavori geodetici con un ingegnere dello stato Maggiore signor Derchi Francesco. Addio Corno Bianco”. Poco sotto si firma anche un altro soldato: “ 2° Regg.to Genio 4° Compagnia Zappatori Soldato Pardini Lorenzo 2 agosto 1881”  Curioso invece lo scritto che ha lasciato il Derchi poco sopra queste righe:Derchi Francesco ingegnere dell’Istituto Topografico Militare incaricato di eseguire la stazione geodetica del Corno Bianco ha soggiornato su detto luogo dal 27 luglio al 2 agosto 1881 e si ripromette di non tornarvi mai più. La sottolineatura è sua. Questo è l’unico accenno ad un pernottamento che ho trovato.

  Così poteva presentarsi il primo rifugio (da un disegno di E. Whymper)

Ho trovato altri cenni in un articolo di Carlo Toesca di Castellazzo comparso sul n. 39 della Rivista Valsesiana edita nel maggio del 1909: “…essendo quasi completamente distrutto un piccolo ricovero in pietra che sorgeva non lungi dalla vetta, gioverebbe che la Sezione valsesiana del Club Alpino Italiano promovesse la costruzione d’una nuova piccola capanna…. Questo articolo è corredato da un’interessante schizzo della zona dove è riportata la presenza del ricovero appena prima della vetta. Ma tutto ciò porta ad un altro interrogativo: l’Abate Carestia è mancato nel 1908, possibile che gli abbiano dedicato un rifugio mentre era ancora in vita? Certo che no, quindi gli accenni sopra riportati riguardano un altro rifugio che probabilmente poteva essere sul tipo di uno di quei ricoveri molto spartani coi muri fatti di pietre che a volte si trovano in mezzo alle giavine o vicino a qualche grosso sasso. Spesse volte sono opera di cacciatori che cercano così di ripararsi alla benemeglio dal gelo notturno e dal vento durante gli appostamenti in attesa delle prede. Questo giustificherebbe anche la breve durata della struttura. Ma perché costruire un ricovero quasi sulla punta,  quando, ad esempio, si poteva utilizzare una più comoda balma sotto un grosso macigno che ancora si trova nelle vicinanze del Lago Nero e che offriva anche il notevole vantaggio di dividere in due il forte dislivello della salita? Forse che  si mirasse ad offrire agli alpinisti lo stupendo spettacolo dell’alba e del tramonto sul Monte Rosa, sulle punte circostanti e sulla pianura Padana ? In fin dei conti questo è stato uno dei tanti motivi che hanno portato, qualche anno dopo, nel 1893 alla costruzione della Capanna Osservatorio Regina Margherita sulla punta Gnifetti e quindi niente di più facile che lo stesso motivo possa aver portato all’edificazione di quello che, alla luce dei pochi documenti trovati, risulta essere il terzo rifugio alpino costruito in  Valsesia, dopo l’Ospizio Sottile (1823) e dopo  il ricovero spartano che poi diventerà  la Capanna Gnifetti (1876), in quanto la capanna Vincent fu costruita sì nel 1795, ma per servire da ricovero ai minatori che lavoravano nelle vicine miniere, anche se poi è stata utilizzata sporadicamente come base di partenza per gite sul Monte Rosa. La scelta di non posizionare il ricovero sulla punta potrebbe essere una conseguenza della grande frequenza con cui i fulmini la colpiscono, ma non credo che la cresta  sud-est sia immune da questo pericolo.

 

Dalla punta uno sguardo verso il Monte Rosa
                   

La ricerca nell’archivio Sezionale mi ha riservato alcune sorprese: dalla relazione non datata che l’allora Presidente della Sezione Conte Luigi d’Adda Salvaterra fece all’Assemblea dei Soci,  forse nel 1876, apprendiamo che la Sezione aveva progettato nel corso dell’estate la costruzione di una “tettoia” per facilitare l’ascensione alla punta: “ … Altro obbligo nostro era pur quello di far costruire in vetta al Corno Bianco una specie di tettoia o altro che servirebbe di rifugio in certe occasioni agli alpinisti che sogliono spesso farne l’ascensione…”  Nel verbale della seduta del Consiglio Sezionale tenutasi nel lontano 15 ottobre 1876 troviamo un altro cenno di posticipo dei lavori: “…che non si è potuta compir nell’annata la capanna al Corno Bianco, ma che  tutto è in pronto perché anche questa decisione della Società sia alla ventura buona stagione completata…”. Come sappiamo la realizzazione di questo progetto veniva rimandata ed attuata nell’anno seguente. Ciò fu dovuto non solo probabilmente a causa delle spese sostenute per la costruzione della Capanna Gnifetti che avevano assorbito gran parte delle risorse finanziarie della Sezione,  ma anche in seguito a divergenze di opinioni sia sulla modalità sia sul luogo di costruzione del riparo.

Nel settembre scorso, salendo al Corno Bianco per “curiosaree prestando maggiore attenzione,  ho individuato un posto ove poteva trovarsi questo ricovero. E’ situato  circa 30 metri sotto la cima ed è alla base di una roccia quasi verticale alta circa  3  metri che poteva servire da parete laterale e da appoggio per il tetto. Quasi 130 anni di gelo e disgelo ed i fulmini hanno fatto sì che  grossi sassi cancellassero quasi del tutto le tracce di questo piccolo spiazzo, ma credo che, senza la spolverata di neve caduta qualche giorno prima, e con più tempo a disposizione di quanto ne avessi io in quel momento, si potrebbe trovare ancora qualche labile traccia della struttura.









    La "tettoia" poteva sorgere qui: si può ancora vedere una piccola zona priva di sassi

In più, sempre in archivio, ho trovato il rifugio Carestia, o perlomeno il suo progetto di edificazione ed alcuni documenti. Nell’agosto del 1913   la nostra Sezione diede l’incarico a un gruppo di persone di trovare il luogo sul Corno Bianco più indicato per la costruzione di un rifugio da dedicare al famoso Abate valsesiano e di cui già tanto si era parlato nell’ambiente sezionale. Nel verbale della seduta di consiglio del 9 novembre 1913  leggiamo i nomi dei componenti della commissione: l’avvocato Basilio Calderini in qualità di Presidente della Sezione, l’avvocato Gianni Caron, il falegname Antonio Carestia, Giuseppe Gugliermina, Giuseppe Lampugnani, il Conte Carlo Toesca, il capitano Michele Verno, ed infine il sindaco di Riva Michele Jachetti. Come vediamo sono riconfermati i componenti di una  precedente commissione di cui parlerò tra poco. Questo è l’ultimo accenno alla suddetta commissione che ho trovato.

            Tuttavia, facendo un breve salto indietro nel tempo e leggendo un altro verbale, risulta che su richiesta del CAI di Varallo il 27 giugno del 1909 il Consiglio Comunale di Riva Valdobbia riunito in tornata straordinaria, approvò l’idea della costruzione nella zona Corno Bianco di un rifugio intitolato all’illustre botanico concittadino, rincrescendosi però di non poter partecipare alle  relative spese a causa di altri impegni finanziari precedentemente assunti. Quindi si passò alla ricerca del sito più opportuno, incarico a cui furono delegati Antonio Carestia falegname, Michele Jachetti, sindaco di Riva Valdobbia,  Michele Verno e Giovanni Lanfranchi. I risultati non si fecero attendere: nell’agosto  del 1910 il Consiglio Sezionale del CAI Varallo riceveva una lettera con l’esito della ricerca. Riporto testualmente: “…Recatisi alla sommità del vallone del Forno e poi al Lago Nero (quota  m. 2702), esaminate con ogni diligenza le località, considerate le difficoltà delle strade, le comodità per gli alpinisti che intraprenderebbero le ascensioni da Riva Valdobbia, Alagna, Gressoney, la distanza della vetta, dopo ponderato esame sarebbero venuti nella determinazione di proporre a codesta On.le Direzione come luogo più indicato, l’ultimo altipiano del vallone del Forno...” Dalla stessa lettera apprendiamo le precise caratteristiche del sito scelto, che era a ridosso della cresta che divide questo vallone da quello del Rissuolo, in luogo molto prossimo all’acqua, esposto al sole ed al riparo dalla caduta di valanghe, e cosa non ultima come importanza, vicina a materiale che poteva essere utilizzato per il basamento.

 


"... l'ultimo altipiano del vallone del forno..."
 

Nel verbale della seduta di Consiglio del 6 gennaio 1913 troviamo una nuova proposta del Cav.  G. Gugliermina circa il luogo di edificazione per il rifugio, che, secondo lui, doveva essere in cima al vallone del Rissuolo a circa 2 ore di cammino dalla punta del Corno Bianco. Nella seduta successiva del 18 aprile l’avvocato Caron ipotizzava che, in alternativa alla dispendiosa spesa per un nuovo rifugio, si poteva utilizzare una stanza nelle baite dell’alpe Pissole, all’imbocco del vallone del Forno. Preso atto di questa nuova proposta venne dato il via ad  una pubblica sottoscrizione per raccogliere la somma necessaria, e fu stilato un preventivo di massima che prevedeva una spesa di circa 2000 lire di allora.  La sottoscrizione in poco tempo raccolse 500 lire nel solo comune di Riva, mentre altrettante si sperava fossero raccolte da quello di Alagna. Si contava inoltre sui prevedibili stanziamenti  provenienti dalla Sede Centrale del CAI e naturalmente dalla Sezione di Varallo, che aveva già assegnato al progetto la cifra di £. 500.   Però Antonio Carestia, forte dell’esperienza acquisita nella costruzione dei rifugi Gnifetti e Margherita, trovò il primo preventivo del tutto insufficiente  a coprire le spese che secondo lui sarebbero arrivate al doppio della cifra stabilita. Nel frattempo si trovò il fornitore per le piante da cui ricavare la travatura del tetto  disposto a venderle alla modica cifra di 5 o 6 lire l’una e si riuscì a strappargli la promessa di regalare una parte del legname necessario. Finito il rifugio sarebbe risultato di circa m. 6 x 3.

Quali siano state le difficoltà incontrate successivamente non è dato sapere, certo è che il rifugio non fu edificato, probabilmente a causa dell’elevato costo sia del materiale sia della mano d’opera.    

  Il disegno della capanna eseguito dal falegname A.. Carestia     

            Di esso rimane solo il cartello segnaletico che per qualche strano motivo è stato realizzato prima  del rifugio stesso e che ancora adesso si può vedere sul muro che circonda la chiesa di Riva Valdobbia.

Passò ancora qualche anno e nel 1942, in pieno periodo bellico si iniziò nuovamente a  parlare di un rifugio su Corno Bianco. Il 2 ottobre si spegneva a Borgosesia l’ingegnere Luigi Scaramiglia.  Appassionato da sempre di montagna, nella quale, come lui stesso affermava,  trovava conforto nei momenti difficili, lasciava al CAI di Varallo una somma di lire 30.000 per la costruzione di un rifugio a lui intitolato da erigersi nella zona del Corno Bianco a lui tanto caro. Nel testamento olografo leggiamo: “ Per l’amore mio in silenzio e da persona solitaria, che da sempre ho nutrito verso la montagna, per la pace che giammai invano presso di essa ho cercato trovando più sopportabile la vita nelle ore più tristi, per la salute di spirito e di corpo di cui mi fu sempre apportatrice, lascio al Centro Alpinistico Italiano (Sezione di Varallo Sesia)  £ 30.000 (trentamila) nominali …… con l’obligo di costruire ad altezza non inferiore ai 2000 metri, in territorio valsesiano preferibilmente nella zona del monte  Corno Bianco, una capanna – rifugio che porti il mio nome e cognome…” Due erano i vincoli legati al lascito: la somma  donata non poteva essere utilizzata per scopi diversi da quello indicato, come per esempio per  ingrandire un  rifugio già esistente, ed il lavoro doveva essere iniziato entro due anni dalla morte, altrimenti il legato sarebbe passato al comune di Quarona che, unitamente ad un altro lascito di £ 500.000,  lo avrebbe utilizzato per la costruzione della strada per la frazione Cavaglia., località  in cui lo Scarmiglia aveva la propria residenza valsesiana.

In data 26 novembre 1943 il Presidente sezionale di allora Cav. G. Gugliermina chiese alla Reggenza del CAI di Milano l’autorizzazione ad accettare il lascito, che venne accordata il successivo 17 dicembre. Il 28 febbraio del 1944 il Consiglio Direttivo della Sezione deliberò l’accettazione del lascito, ma  occorse ancora qualche mese prima di poter  entrare in possesso della somma: ciò avvenne il 29 settembre 1944, ed il lascito fu depositato su un libretto a risparmio intestato a: CAI Varallo = Legato ing. Luigi Scarmiglia = pro rifugio Corno Bianco  aperto presso la Cassa di Risparmio di Vercelli Agenzia di Varallo.

La nostra sezione intanto incaricò l’ingegnere Turcotti di Borgosesia di preparare un progetto per il rifugio. Questo progetto prevedeva la costruzione di una struttura avente le dimensioni esterne di m. 3.50 x 5.50 ed un’altezza alla base del tetto di m. 2.00. L’inizio dei lavori  era previsto entro settembre del 1945,  ma nel contempo fu presa in considerazione la possibilità di chiedere una dilazione dei due anni concessi per l’inizio della costruzione del rifugio a causa della guerra. La svalutazione della lira nel frattempo ridusse il lascito a 26.000 lire e ci si rese conto che questa cifra, pur sommata a quella raccolta in occasione del precedente progetto di rifugio,  risultava insufficiente per la costruzione ex novo di una struttura. In una data imprecisabile tra il 27 luglio del 1945, data nella quale il Consiglio Sezionale rassegnò le dimissioni rese necessarie dalla fine della guerra, e l’ 8 novembre 1945, data riportata sulla lettera inviata dal comune di Quarona, nella quale il CAI di Varallo veniva informato che il Consiglio Comunale, avuto sentore di un possibile rifiuto del lascito, aveva già provveduto deliberare l’eventuale accettazione dello stesso, fu indetta un’assemblea presso la Sede Sociale per definire la questione relativa al rifugio. L’ing. Turcotti dopo aver consegnato il progetto del rifugio ne preventivava la spesa intorno alle 60.000 lire che risultavano così suddivise: muratura a secco in pietrame per pareti perimetrali £ 6.200; muratura a secco per fondamenta £ 3.600; muratura a secco per pianerottolo in facciata £ 730; pavimento in pietra per pianerottolo facciata £ 500; gradini rozzi in pietra £ 500;  rinzaffatura giunti esterni della muratura escluso lo zoccolo £ 3.800; pavimento con travetti £ 2.800; tetto con capriate £ 13.000; infissi £ 2.020; imprevisti £ 1.850. A questo totale di £ 35.000 andava ancora aggiunta la spesa per la mano d’opera ed il vitto per gli operai.

            Tre disegni del rifugio Scaramiglia tratti dal progetto dell'ing. Turcotti

Nacque così l’idea di utilizzare una baita già esistente e gli occhi della Sezione si puntarono su una delle due baite esistenti all’alpe Granus in val d’Otro. Ma i proprietari,  che non volevano vendere, concessero il solo utilizzo di una stalla della quale autorizzarono l’innalzamento il tetto in modo da poterla poi da adibire a rifugio, riservandosi però la proprietà  dell’immobile completo. Questa situazione fu però giudicata inaccettabile. Inoltre era impossibile  per la Sezione assumersi la responsabilità di una spesa atta a coprire la cifra mancante stimata intorno alle 30/40.000 lire: i rifugi già esistenti erano in precarie condizioni, ed a causa della guerra anche la Sede stessa aveva bisogno di urgenti lavori di sistemazione.  Si scelse così di rinunciare al lascito che, a causa dell’inflazione galoppante, si era ulteriormente ridotto. 

 

Esaminando i verbali delle assemblee sezionali e delle sedute di Consiglio, ho trovato un accenno anche ad un quarto rifugio. Nel verbale della riunione del Consiglio Direttivo tenutasi il 24 ottobre 1942, il Presidente sezionale Cav. Gugliermina relaziona circa un sussidio offerto dal Duce per la costruzione di un rifugio che avrebbe dovuto sorgere sulla sponda settentrionale del Lago Grande di Tailly. Il progetto era stato sottoposto all’attenzione del Duce dal socio Senatore Conte Aldo Rossini di Valgrande ottenendo subito la sovvenzione base di £. 50.000. Per offrire agli alpinisti quanto prima la possibilità di un ricovero, stante la non imminente possibilità di attuazione del progetto, si stabilì di    prendere contatti con i proprietari degli alpeggi della val d’Otro    al fine di poter utilizzare una stanza di una baita già esistente come ricovero per chi era diretto al Corno Bianco. In particolare, erano già stati presi i primi contatti con il proprietario dell’alpe Tailly per un sopralluogo da effettuarsi nella primavera dell’anno successivo. Il suo consenso avrebbe permesso la riduzione di circa tre ore il cammino del secondo giorno.  Come per gli altri rifugi non risultano ulteriori informazioni che ci possano delucidare sulle motivazioni che portarono all’annullamento del progetto.

 

   Il Punto d'Appoggio all'Alpe Rissuolo come si presenta oggi

 Dovevano passare circa 30 anni per vedere finalmente realizzata l’idea di una struttura che ospitasse gli alpinisti diretti al Corno Bianco ed alle altre cime che lo attorniano,  ma questa è storia dei nostri giorni. Ormai anche la baita all’alpe Rissuolo che ha ospitato tanti alpinisti diretti alle punte circostanti è caduta in disuso ed al suo posto possiamo usufruire di tutte le comodità offerte dal nuovo rifugio Carestia.

Molti sono gli interrogativi che questa ricerca lascia in sospeso, e ne segnalo solo qualcuno. Ad esempio l’iniziativa di costruire un rifugio dedicato all’Abate Carestia, è partita dal comune di Riva Valdobbia oppure dalla nostra Sezione? A questo proposito devo specificare che ho trovato due documenti che recano notizie  contrastanti ambedue della stessa importanza: un verbale di seduta del Consiglio Comunale di Riva tenutasi il 27 giugno 1909 che attribuisce questa iniziativa alla nostra Sezione, ed il verbale dell’Assemblea dei Soci CAI  del 6 gennaio 1913 che assegna l’idea al Comune di Riva. Per il progetto del rifugio Carestia ho trovato la relazione presentata al direttivo della Sezione dai componenti della prima commissione istituita per la scelta del luogo più idoneo alla costruzione del rifugio, ma da un verbale risulta che la seconda commissione è stata creata proprio perché la prima non aveva portato ad alcun risultato. Perché non è stata unita la somma lasciata dallo Scarmiglia a quella donata dal Duce in modo da avere una cifra più alta da destinare alla costruzione del rifugio?  C’è da dire che per tutto il 1943 non risultano né verbali di Assemblee dei Soci né riunioni di Consiglio. Ed infine: lo Scarmiglia è mancato nel 1942 e logicamente i due anni di tempo per la costruzione del rifugio scadevano nel 1944, ma in ultima analisi l’inizio dei lavori era previsto per l’estate del 1945 e sempre in quel periodo veniva ipotizzata la richiesta di proroga del limite  di tempo consentito. Sono piccole curiosità che contribuiscono a rendere vivo il mio interesse su questo argomento.

 

Ancora tanto ci sarebbe da scrivere: si potrebbe estendere la ricerca all’Archivio di Stato di Varallo, ed alla Pro Loco di Riva che tanti anni fa ha posizionato il cartello che mi ha incuriosito; Inoltre sono sicura che con i dati certi che abbiamo ora, ma che mancavano all’epoca della prima ricerca, sia possibile rintracciare qualche documento all’Archivio Comunale di Riva. Purtroppo però una parte della documentazione che potrebbe interessare è andata irreparabilmente persa a causa dei saccheggi a cui la sede della nostra Sezione è stata sottoposta in periodo bellico e perciò sarà difficile riuscire a  ricostruire tutta la storia di questi rifugi. E’ una piccola parte della storia della nostra Sezione che non potremo più conoscere a fondo.

 

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