I
rifugi del Corno Bianco
(Cliccare
sulle foto per vederle ingrandite)
Nel 1992 fu inaugurato sulle pendici del Corno Bianco, l’ultimo rifugio
eretto dalla nostra Sezione: il rifugio Abate Carestia. Situato all’Alpe
Pile a 2201 m. in una magnifica posizione panoramica sulla Val Vogna
è nato per sostituire il primo Punto d’Appoggio creato
nel lontano 1974 dalla nostra Sezione e collocato all’alpe Rissuolo,
ma reso ormai inadeguato a causa dell’aumento dei frequentatori.
Il nuovo rifugio Carestia
Ma già tanto tempo fa, altri progetti
di costruzione di rifugi interessarono la zona, per renderne più
agevole l’accesso ed abbreviare così la lunga salita all’impegnativa cima
del Corno Bianco ed alle altre non meno faticose vette circostanti. Da
molto se ne sono perse le tracce ma cercherò di ricostruire la loro storia.
La mia curiosità iniziò osservando il risguardo di un libro sulla Val
Vogna edito pochi anni
fa e che riportava la fotografia di un vecchio pannello segnaletico sul
quale, tra le altre indicazioni, era scritto: “Rifugio Abate Carestia
m. 3150 ore 6”. Spontanea mi nacque una domanda: dato
che l’attuale rifugio Carestia sorge a 2201 metri non può essere
quello, dunque molto tempo fa doveva essercene un’ altro, ma dove? Per
via della quota riportata, il Carestia doveva
per forza trovarsi nella zona Corno Bianco - Punta Ciampono
– Punta di Netschio uniche vette della
Val Vogna a superare i 3100 metri, ma nel
corso delle numerose precedenti salite a queste punte mai mi pareva
di avere incontrato i resti di quello che poteva sembrare un edificio.
L’unico posto adatto ad accogliere una struttura era quel piccolissimo
spazio quasi pianeggiante delimitato da una serie di sassi
disposti a forma di rettangolo che si trova
proprio sulla punta del Corno Bianco e che mi aveva ospitato durante
un mio voluto bivacco circa 15 anni fa. Ma
c’era una discordanza: era in punta quindi a 3320 metri e non a
3150.
Il cartello ancora visibile sul muro di cinta della
chiesa di Riva Valdobbia
Interessai un componente di un’altra Commissione
del CAI che incuriosito, fece fare una ricerca nell’archivio del comune
di Riva Valdobbia, ma i risultati furono
deludenti: per via delle informazioni a disposizione che erano praticamente
inesistenti, nulla risultava di un rifugio in valle Vogna
a quella quota. Però c’era il cartello,
e quindi da qualche parte doveva esserci stato anche il ricovero. Escluso
il sopraddetto archivio mi rimanevano, tra
le altre, due possibilità di ricerca: la biblioteca e l’archivio
sezionali. Presso la biblioteca ho consultato alcune pubblicazioni: non
trovando nulla né sulla Rivista del CAI né sul Bollettino ho diretto le
mie ricerche verso altri testi. Uguale risultato mi ha riservato la consultazione
de “Il Corno Bianco” di Amadeo Luigi Morera
pubblicato nel 1947 e di “La valle Vogna e
Ca’ di Janzo”
scritto da G. Toesca di Castellazzo,
F. Gerbaldi e
N. Vigna. Però a pag. 56 del testo “Valsesia
e Valle Vogna” scritto nel 1907 da Emilio
Pagliani è riportato che nel 1877 poco sotto
la punta del Corno Bianco fu costruito un rifugio che però già all’inizio
del 1900 era diroccato. Don Luigi Ravelli,
nella sua celeberrima opera “ La Valsesia
e il Monte Rosa” a pag. 270 descrivendo la salita al Corno Bianco per
il passo d’Artemisia cita “…Al di là del
passo si sale per un largo canalone semierboso seguendo i triangoli rossi
accoppiati e le poche tracce di sentiero: si passa quindi a sinistra
in un piccolo canale collaterale che sbuca sulla cresta sud-est e si
guadagna la vetta passando per la vecchia capanna…”.
Il Tonetti nella sua altrettanto famosa “Guida
della Valsesia” ci fornisce un altro breve
cenno: a pag. 425, troviamo queste poche righe: “…..e
poi tenendo dietro alle guide di pietra che segnano la via da tenersi,
risalire di greppo in greppo, e dopo un’altra ora di salita si toccherà
l’agognata cima. Presso la sommità nel 1877 si eresse un piccolo ricovero,
ora inservibile.” Questa guida è
stata edita nel 1891 e quindi accorcia ulteriormente il periodo di
utilizzo di questa struttura.
Il piccolo spiazzo sulla cima del Corno Bianco
Cercando sul “Monte Rosa” della collana “Guida dei monti d’Italia”
scritto nel 1960 da S. Saglio e F.
Boffa, a pag. 408 troviamo scritto:
“…Seguendo questa facile cresta si sorpassa il sito in cui era stata costruita
una capanna e si raggiunge la vetta…”. Nell’edizione seguente scritta
nel 1991 dal compianto Gino Buscaini, troviamo
l’accenno alla capanna tra le note generali sul Corno Bianco e riporta
anche qui che era “già diruta nel 1900”.
Certo è che almeno qualcuno ci ha pernottato per qualche tempo. Accadde
tra la fine di luglio e l’inizio di agosto
del 1881. Infatti su “ 1857-1907 - Album degli
ascensori del Corno Bianco alto metri 3317” presente in copia dattiloscritta
presso la Biblioteca “Italo Grassi” ed in copia originale presso l’archivio
sezionale, in data 2 agosto 1881 troviamo scritto “ Soldato Candeloro
Rocco 1° Reggimento Genio 2° Compagnia Zappatori: dormito alla Capanna
Corno Bianco giorni otto patito molto freddo per lavori geodetici con
un ingegnere dello stato Maggiore signor Derchi
Francesco. Addio Corno Bianco”. Poco sotto si
firma anche un altro soldato: “ 2° Regg.to
Genio 4° Compagnia Zappatori Soldato Pardini
Lorenzo 2 agosto 1881” Curioso invece lo scritto che ha lasciato
il Derchi poco sopra queste righe: “Derchi
Francesco ingegnere dell’Istituto Topografico Militare incaricato di eseguire
la stazione geodetica del Corno Bianco ha soggiornato su detto luogo dal
27 luglio al 2 agosto 1881 e si ripromette di non tornarvi mai più”.
La sottolineatura è sua. Questo è l’unico accenno ad un pernottamento
che ho trovato.
Così poteva presentarsi il primo
rifugio (da un disegno di E. Whymper)
Ho trovato altri cenni in un articolo di Carlo Toesca
di Castellazzo comparso sul n. 39 della Rivista
Valsesiana edita nel maggio del 1909: “…essendo
quasi completamente distrutto un piccolo ricovero in pietra che sorgeva
non lungi dalla vetta, gioverebbe che la Sezione valsesiana
del Club Alpino Italiano promovesse la costruzione d’una nuova piccola
capanna….” Questo articolo è corredato
da un’interessante schizzo della zona dove
è riportata la presenza del ricovero appena prima della vetta. Ma
tutto ciò porta ad un altro interrogativo: l’Abate Carestia è mancato
nel 1908, possibile che gli abbiano dedicato un rifugio mentre era ancora
in vita? Certo che no, quindi gli accenni sopra riportati riguardano un
altro rifugio che probabilmente poteva essere sul tipo di uno di quei
ricoveri molto spartani coi muri fatti di pietre
che a volte si trovano in mezzo alle giavine
o vicino a qualche grosso sasso. Spesse volte sono opera di cacciatori
che cercano così di ripararsi alla benemeglio
dal gelo notturno e dal vento durante gli appostamenti in
attesa delle prede. Questo giustificherebbe anche la breve durata della
struttura. Ma perché costruire un ricovero quasi sulla punta, quando,
ad esempio, si poteva utilizzare una più comoda balma
sotto un grosso macigno che ancora si trova
nelle vicinanze del Lago Nero e che offriva anche il notevole vantaggio
di dividere in due il forte dislivello della salita? Forse che si
mirasse ad offrire agli alpinisti lo stupendo spettacolo dell’alba e del
tramonto sul Monte Rosa, sulle punte circostanti e sulla pianura Padana
? In fin dei conti questo è stato uno dei tanti motivi che hanno
portato, qualche anno dopo, nel 1893 alla costruzione della Capanna Osservatorio
Regina Margherita sulla punta Gnifetti e quindi
niente di più facile che lo stesso motivo possa
aver portato all’edificazione di quello che, alla luce dei pochi documenti
trovati, risulta essere il terzo rifugio alpino costruito in
Valsesia, dopo l’Ospizio Sottile (1823) e dopo il ricovero
spartano che poi diventerà la Capanna Gnifetti
(1876), in quanto la capanna Vincent fu costruita
sì nel 1795, ma per servire da ricovero ai minatori che lavoravano nelle
vicine miniere, anche se poi è stata utilizzata sporadicamente come base
di partenza per gite sul Monte Rosa. La scelta di non posizionare il ricovero
sulla punta potrebbe essere una conseguenza della grande frequenza con
cui i fulmini la colpiscono, ma non credo che la cresta sud-est
sia immune da questo pericolo.
Dalla punta uno sguardo verso il Monte Rosa
La ricerca nell’archivio Sezionale mi ha riservato
alcune sorprese: dalla relazione non datata che l’allora Presidente della
Sezione Conte Luigi d’Adda Salvaterra fece
all’Assemblea dei Soci, forse nel 1876, apprendiamo che la Sezione
aveva progettato nel corso dell’estate la costruzione di una “tettoia”
per facilitare l’ascensione alla punta: “ … Altro obbligo nostro era
pur quello di far costruire in vetta al Corno Bianco una specie di tettoia
o altro che servirebbe di rifugio in certe occasioni agli alpinisti che
sogliono spesso farne l’ascensione…” Nel verbale della seduta
del Consiglio Sezionale tenutasi nel lontano 15 ottobre 1876 troviamo
un altro cenno di posticipo dei lavori: “…che non si è potuta compir
nell’annata la capanna al Corno Bianco, ma che tutto è in pronto
perché anche questa decisione della Società sia alla ventura buona stagione
completata…”. Come sappiamo la realizzazione di questo progetto veniva
rimandata ed attuata nell’anno seguente. Ciò fu dovuto
non solo probabilmente a causa delle spese sostenute per la costruzione
della Capanna Gnifetti che avevano assorbito
gran parte delle risorse finanziarie della Sezione, ma anche in
seguito a divergenze di opinioni sia sulla modalità sia sul luogo di costruzione
del riparo.
Nel settembre scorso, salendo al Corno Bianco per “curiosare”
e prestando maggiore attenzione, ho individuato un posto ove
poteva trovarsi questo ricovero. E’ situato circa 30 metri sotto
la cima ed è alla base di una roccia quasi verticale alta circa 3
metri che poteva servire da parete laterale e da appoggio per il
tetto. Quasi 130 anni di gelo e disgelo ed i fulmini hanno fatto sì che
grossi sassi cancellassero quasi del tutto le tracce di questo piccolo
spiazzo, ma credo che, senza la spolverata di neve caduta qualche giorno
prima, e con più tempo a disposizione di quanto ne
avessi io in quel momento, si potrebbe trovare ancora qualche labile
traccia della struttura.
La "tettoia" poteva sorgere qui: si può ancora
vedere una piccola zona priva di sassi
In
più, sempre in archivio, ho trovato il rifugio Carestia, o perlomeno il
suo progetto di edificazione ed alcuni documenti.
Nell’agosto del 1913 la nostra Sezione diede l’incarico a
un gruppo di persone di trovare il luogo sul Corno Bianco più indicato
per la costruzione di un rifugio da dedicare al famoso Abate valsesiano
e di cui già tanto si era parlato nell’ambiente sezionale. Nel verbale
della seduta di consiglio del 9 novembre 1913 leggiamo i nomi dei
componenti della commissione: l’avvocato Basilio
Calderini in qualità di Presidente della Sezione,
l’avvocato Gianni Caron, il falegname Antonio
Carestia, Giuseppe Gugliermina, Giuseppe
Lampugnani, il Conte Carlo Toesca,
il capitano Michele Verno, ed infine il sindaco
di Riva Michele Jachetti. Come vediamo sono
riconfermati i componenti di una precedente
commissione di cui parlerò tra poco. Questo è l’ultimo accenno alla suddetta
commissione che ho trovato.
Tuttavia, facendo un breve salto indietro nel tempo e leggendo un altro
verbale, risulta che su richiesta del CAI di
Varallo il 27 giugno del 1909 il Consiglio
Comunale di Riva Valdobbia riunito in tornata
straordinaria, approvò l’idea della costruzione nella zona Corno Bianco
di un rifugio intitolato all’illustre botanico concittadino, rincrescendosi
però di non poter partecipare alle relative spese a causa di altri
impegni finanziari precedentemente assunti. Quindi si passò alla ricerca
del sito più opportuno, incarico a cui furono
delegati Antonio Carestia falegname, Michele Jachetti,
sindaco di Riva Valdobbia, Michele Verno
e Giovanni Lanfranchi. I risultati non si
fecero attendere: nell’agosto del 1910 il Consiglio Sezionale del
CAI Varallo riceveva una lettera con l’esito
della ricerca. Riporto testualmente: “…Recatisi alla sommità del vallone
del Forno e poi al Lago Nero (quota m. 2702), esaminate con ogni
diligenza le località, considerate le difficoltà delle strade, le comodità
per gli alpinisti che intraprenderebbero le ascensioni da Riva
Valdobbia, Alagna,
Gressoney, la distanza della vetta, dopo ponderato esame sarebbero
venuti nella determinazione di proporre a codesta
On.le
Direzione come luogo più indicato, l’ultimo altipiano del vallone
del Forno...” Dalla stessa lettera apprendiamo le precise caratteristiche
del sito scelto, che era a ridosso della cresta che divide questo vallone
da quello del Rissuolo, in luogo molto prossimo
all’acqua, esposto al sole ed al riparo dalla caduta di valanghe, e cosa
non ultima come importanza, vicina a materiale che poteva essere utilizzato
per il basamento.
"... l'ultimo altipiano del vallone del forno..."
Nel
verbale della seduta di Consiglio del 6 gennaio
1913 troviamo una nuova proposta del Cav.
G. Gugliermina circa il luogo di
edificazione per il rifugio, che, secondo lui, doveva essere in
cima al vallone del Rissuolo a circa 2 ore
di cammino dalla punta del Corno Bianco. Nella seduta successiva del 18
aprile l’avvocato Caron ipotizzava che, in
alternativa alla dispendiosa spesa per un
nuovo rifugio, si poteva utilizzare una stanza nelle baite dell’alpe Pissole,
all’imbocco del vallone del Forno. Preso atto di questa nuova proposta
venne dato il via ad una pubblica sottoscrizione
per raccogliere la somma necessaria, e fu stilato un preventivo di massima
che prevedeva una spesa di circa 2000 lire di allora. La sottoscrizione
in poco tempo raccolse 500 lire nel solo comune di Riva, mentre altrettante
si sperava fossero raccolte da quello di Alagna.
Si contava inoltre sui prevedibili stanziamenti provenienti dalla
Sede Centrale del CAI e naturalmente dalla Sezione di Varallo,
che aveva già assegnato al progetto la cifra di £. 500. Però
Antonio Carestia, forte dell’esperienza acquisita nella costruzione dei
rifugi Gnifetti e Margherita, trovò il primo
preventivo del tutto insufficiente a coprire le spese che secondo
lui sarebbero arrivate al doppio della cifra
stabilita. Nel frattempo si trovò il fornitore per le piante da cui ricavare
la travatura del tetto disposto a venderle alla modica cifra di
5 o 6 lire l’una e si riuscì a strappargli la promessa di regalare una
parte del legname necessario. Finito il rifugio sarebbe risultato
di circa m. 6 x 3.
Quali
siano state le difficoltà incontrate successivamente
non è dato sapere, certo è che il rifugio non fu edificato, probabilmente
a causa dell’elevato costo sia del materiale sia della mano d’opera.
Il
disegno della capanna eseguito dal falegname A.. Carestia
Di esso rimane solo il cartello segnaletico
che per qualche strano motivo è stato realizzato prima del rifugio
stesso e che ancora adesso si può vedere sul muro che circonda la chiesa
di Riva Valdobbia.
Passò
ancora qualche anno e nel 1942, in pieno periodo bellico
si iniziò nuovamente a parlare di un rifugio su Corno Bianco.
Il 2 ottobre si spegneva a Borgosesia l’ingegnere
Luigi Scaramiglia. Appassionato da sempre
di montagna, nella quale, come lui stesso affermava, trovava conforto
nei momenti difficili, lasciava al CAI di Varallo
una somma di lire 30.000 per la costruzione di un rifugio a lui intitolato
da erigersi nella zona del Corno Bianco a lui tanto caro. Nel testamento
olografo leggiamo: “ Per l’amore mio in silenzio e da persona solitaria,
che da sempre ho nutrito verso la montagna, per la pace che giammai invano
presso di essa ho cercato trovando più sopportabile
la vita nelle ore più tristi, per la salute di spirito e di corpo di cui
mi fu sempre apportatrice, lascio al Centro Alpinistico
Italiano (Sezione di Varallo Sesia)
£ 30.000 (trentamila) nominali …… con l’obligo
di costruire ad altezza non inferiore ai 2000 metri, in territorio
valsesiano preferibilmente nella zona del monte Corno Bianco,
una capanna – rifugio che porti il mio nome e cognome…” Due erano
i vincoli legati al lascito: la somma donata non poteva essere utilizzata
per scopi diversi da quello indicato, come per esempio per ingrandire
un rifugio già esistente, ed il lavoro doveva essere iniziato entro
due anni dalla morte, altrimenti il legato sarebbe passato al comune di
Quarona che, unitamente ad un altro lascito
di £ 500.000, lo avrebbe utilizzato per la costruzione della strada
per la frazione Cavaglia., località
in cui lo Scarmiglia aveva la propria residenza valsesiana.
In
data 26 novembre 1943 il Presidente sezionale di allora Cav.
G. Gugliermina chiese alla Reggenza del CAI
di Milano l’autorizzazione ad accettare il lascito, che venne
accordata il successivo 17 dicembre. Il 28 febbraio del 1944 il Consiglio
Direttivo della Sezione deliberò l’accettazione del lascito, ma
occorse ancora qualche mese prima di poter
entrare in possesso della somma: ciò avvenne il 29 settembre 1944, ed
il lascito fu depositato su un libretto a risparmio intestato a: CAI
Varallo = Legato ing. Luigi Scarmiglia = pro rifugio Corno Bianco
aperto presso la Cassa di Risparmio di Vercelli Agenzia di Varallo.
La
nostra sezione intanto incaricò l’ingegnere
Turcotti di Borgosesia
di preparare un progetto per il rifugio. Questo progetto prevedeva la
costruzione di una struttura avente le dimensioni esterne di m. 3.50 x
5.50 ed un’altezza alla base del tetto di m. 2.00. L’inizio dei lavori
era previsto entro settembre del 1945, ma nel contempo fu presa
in considerazione la possibilità di chiedere una dilazione dei due anni
concessi per l’inizio della costruzione del rifugio a causa della
guerra. La svalutazione della lira nel frattempo ridusse il lascito a
26.000 lire e ci si rese conto che questa cifra, pur sommata a quella
raccolta in occasione del precedente progetto di rifugio, risultava
insufficiente per la costruzione ex novo di una struttura. In una data
imprecisabile tra il 27 luglio del 1945, data nella quale il Consiglio
Sezionale rassegnò le dimissioni rese necessarie
dalla fine della guerra, e l’ 8 novembre 1945, data riportata sulla lettera
inviata dal comune di Quarona, nella quale
il CAI di Varallo veniva informato che il
Consiglio Comunale, avuto sentore di un possibile rifiuto del lascito,
aveva già provveduto deliberare l’eventuale accettazione dello stesso,
fu indetta un’assemblea presso la Sede Sociale per definire la questione
relativa al rifugio. L’ing. Turcotti dopo
aver consegnato il progetto del rifugio ne preventivava la spesa intorno
alle 60.000 lire che risultavano così suddivise:
muratura a secco in pietrame per pareti perimetrali £ 6.200; muratura
a secco per fondamenta £ 3.600; muratura a secco per pianerottolo in facciata
£ 730; pavimento in pietra per pianerottolo facciata £ 500; gradini rozzi
in pietra £ 500; rinzaffatura giunti
esterni della muratura escluso lo zoccolo £ 3.800; pavimento con travetti
£ 2.800; tetto con capriate £ 13.000; infissi £ 2.020; imprevisti £ 1.850.
A questo totale di £ 35.000 andava ancora aggiunta la spesa per la mano
d’opera ed il vitto per gli operai.
Tre disegni del rifugio Scaramiglia tratti dal progetto
dell'ing. Turcotti
Nacque
così l’idea di utilizzare una baita già esistente e gli occhi della Sezione
si puntarono su una delle due baite esistenti all’alpe
Granus in val d’Otro.
Ma i proprietari, che non volevano vendere,
concessero il solo utilizzo di una stalla della quale autorizzarono l’innalzamento
il tetto in modo da poterla poi da adibire a rifugio, riservandosi però
la proprietà dell’immobile completo. Questa situazione fu però giudicata
inaccettabile. Inoltre era impossibile per la Sezione assumersi
la responsabilità di una spesa atta a coprire la cifra mancante stimata
intorno alle 30/40.000 lire: i rifugi già esistenti erano in precarie
condizioni, ed a causa della guerra anche la Sede stessa aveva bisogno
di urgenti lavori di sistemazione. Si
scelse così di rinunciare al lascito che, a causa dell’inflazione galoppante,
si era ulteriormente ridotto.
Esaminando
i verbali delle assemblee sezionali e delle
sedute di Consiglio, ho trovato un accenno anche ad un quarto rifugio.
Nel verbale della riunione del Consiglio Direttivo tenutasi il 24 ottobre
1942, il Presidente sezionale Cav. Gugliermina
relaziona circa un sussidio offerto dal Duce
per la costruzione di un rifugio che avrebbe dovuto sorgere sulla sponda
settentrionale del Lago Grande di Tailly.
Il progetto era stato sottoposto all’attenzione del Duce dal socio Senatore
Conte Aldo Rossini di Valgrande
ottenendo subito la sovvenzione base di £. 50.000. Per offrire agli
alpinisti quanto prima la possibilità di un ricovero, stante la
non imminente possibilità di attuazione del progetto, si stabilì di
prendere contatti con i proprietari degli alpeggi della
val d’Otro al fine
di poter utilizzare una stanza di una baita già esistente come ricovero
per chi era diretto al Corno Bianco. In particolare, erano già stati presi
i primi contatti con il proprietario dell’alpe Tailly
per un sopralluogo da effettuarsi nella primavera
dell’anno successivo. Il suo consenso avrebbe permesso la riduzione di
circa tre ore il cammino del secondo giorno. Come per gli altri
rifugi non risultano ulteriori informazioni
che ci possano delucidare sulle motivazioni che portarono all’annullamento
del progetto.
Il Punto d'Appoggio all'Alpe Rissuolo come si presenta
oggi
Dovevano
passare circa 30 anni per vedere finalmente realizzata l’idea di una struttura
che ospitasse gli alpinisti diretti al Corno
Bianco ed alle altre cime che lo attorniano, ma questa è storia
dei nostri giorni. Ormai anche la baita all’alpe Rissuolo
che ha ospitato tanti alpinisti diretti alle punte
circostanti è caduta in disuso ed al suo posto possiamo usufruire
di tutte le comodità offerte dal nuovo rifugio Carestia.
Molti
sono gli interrogativi che questa ricerca lascia in sospeso, e ne segnalo
solo qualcuno. Ad esempio l’iniziativa di costruire un rifugio dedicato
all’Abate Carestia, è partita dal comune di Riva Valdobbia
oppure dalla nostra Sezione? A questo proposito devo specificare che ho
trovato due documenti che recano notizie contrastanti ambedue della
stessa importanza: un verbale di seduta del Consiglio Comunale di Riva
tenutasi il 27 giugno 1909 che attribuisce questa
iniziativa alla nostra Sezione, ed il verbale dell’Assemblea dei
Soci CAI del 6 gennaio 1913 che assegna l’idea al Comune di Riva.
Per il progetto del rifugio Carestia ho trovato la relazione presentata
al direttivo della Sezione dai componenti della
prima commissione istituita per la scelta del luogo più idoneo alla costruzione
del rifugio, ma da un verbale risulta che la seconda commissione è stata
creata proprio perché la prima non aveva portato ad alcun risultato. Perché
non è stata unita la somma lasciata dallo Scarmiglia
a quella donata dal Duce in modo da avere una cifra più alta da destinare
alla costruzione del rifugio? C’è da dire che per tutto il 1943
non risultano né verbali di Assemblee dei Soci
né riunioni di Consiglio. Ed infine: lo Scarmiglia è mancato nel 1942
e logicamente i due anni di tempo per la costruzione del rifugio scadevano
nel 1944, ma in ultima analisi l’inizio dei lavori era previsto per l’estate
del 1945 e sempre in quel periodo veniva ipotizzata
la richiesta di proroga del limite di tempo consentito. Sono piccole
curiosità che contribuiscono a rendere vivo il mio interesse su questo
argomento.
Ancora
tanto ci sarebbe da scrivere: si potrebbe estendere la ricerca all’Archivio
di Stato di Varallo, ed alla Pro Loco di Riva
che tanti anni fa ha posizionato il cartello
che mi ha incuriosito; Inoltre sono sicura che con i dati certi che abbiamo
ora, ma che mancavano all’epoca della prima ricerca, sia possibile rintracciare
qualche documento all’Archivio Comunale di Riva. Purtroppo però una parte
della documentazione che potrebbe interessare è andata irreparabilmente
persa a causa dei saccheggi a cui la sede della nostra Sezione è stata
sottoposta in periodo bellico e perciò sarà difficile riuscire a
ricostruire tutta la storia di questi rifugi. E’ una piccola parte della
storia della nostra Sezione che non potremo più conoscere a fondo.
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